domenica 21 ottobre 2007

Lezioni III e IV (a.a. 2007-08)

L’esteriorizzazione può essere considerata una vera e prorpia necessità antropologica. L’uomo, da come lo conosciamo empiricamente, non può essere concepito prescindendo dall’incessante riversamento di se stesso dal mondo in cui si trova; non può venire inteso come un essere ripiegato su se stesso, chiuso in una qualche sfera d’interiorità, e che poi cominci a esprimersi nel mondo che lo circonda.
L’essere umano si esteriorizza nella sua essenza e fin dall’inizio. Questo fondamentale fatto antropologico ha le sue radici - secondo alcuni importanti studiosi - nella stessa costituzione biologica dell’uomo.

Per semplificare diciamo che, essendo biologicamente privo di un mondo fatto per sé, di un mondo-uomo, egli è costretto a costruirselo. Il risultato di tale costruzione è, naturalmente, ciò che chiamiamo cultura, il cui scopo fondamentale è quello di dare alla vita umana quelle solide strutture che biologicamente le mancano.
Quest’ipotesi di tipo culturologico è fondata su dati e teorie di tipo eminentemente “antropologico”. Una di queste – tra le più vecchie, ma anche tra le più affascinanti – fu formulata da un certo Ludwig Bolk.

Prima di esaminarla va preso in considerazione innanzitutto un dato di fatto: esiste nell’uomo una lentezza nello sviluppo motore, nella crescita, molto particolare e molto diversa rispetto agli altri animali.
Se, ad esempio, noi collochiamo all’età di 12 anni, età della pubertà, la prima sostanziale autonomia dell’essere umano, (questa d’altronde è l’età in cui nella maggior parte delle civiltà si collocano i riti d’iniziazione), e a 70 il tasso medio della vita umana, il rapporto: “inizio della età adulta” e “lunghezza della vita” è pari a 1/6. Ora non esistono specie animali in cui questo rapporto scende al disotto di 1/12, 1/10. Il che vuol dire che esiste un enorme differenza tra l’uomo e l’animale per svilupparsi sul piano motorio. Va detto inoltre che la lentezza dello sviluppo è nell’uomo molto più marcata nel corso del primo anno di vita.

Qui si inserisce la teoria di Bolk. Così in una conferenza si esprimeva questo studioso (era un professore di anatomia ad Amsterdam negli anni ‘20): “Se volessi esprimere in una frase un po’ lapidaria l’essenziale della mia teoria, presenterei l’uomo, dal punto di vista corporale, come un feto di primate geneticamente stabilizzato”.
Non esiste un mammifero con una crescita così lenta come quella dell’uomo; non esiste un mammifero che resti per così lungo tempo dipendente dai suoi genitori. Non esiste mammifero che dopo uno sviluppo così lento abbia una senescenza così lunga. Quale animale dopo la fine delle sue possibilità germinative può godere – dice Bolk – di una così lunga esistenza puramente somatica? Secondo quest’autore vi sono alcune caratteristiche morfologiche proprie all’uomo, come ad esempio l’assenza di pelo, la situazione centrale del Foramen magnum, il peso elevato del cervello, la persistenza della fontanella, la forma del bacino, l’orientamento ventrale dell’orifizio genitale femminile etc. che hanno tra di loro una proprietà comune.
Sono – dice Bolk – delle condizioni o stati fetali divenuti permanenti. in altre parole, delle proprietà strutturali che sono passeggere nel feto degli altri primati e che si sono stabilizzate nell’uomo. Per quest’immaginifico autore l’uomo è il prodotto di un ritardo fisiologico della crescenza e della maturazione. Quali le conseguenze di una tale teoria?

Da una parte – fisicamente – il volume della scatola cranica dovuto alla non-sutura della fontanella rende possibile lo sviluppo del cervello; dall’altra la nascita prematura e la lentezza della maturazione rende indispensabile la protezione degli adulti e giustifica così le complesse relazioni psicologiche che si sono create. Questo spiega inoltre il bisogno dell’uomo se vuole sopravvivere a costruirsi ed a compensare la sua carenza dominando la natura attraverso la creazione della cultura.
Quest’essere incompleto crea protesi per dominare un esterno che altrimenti non sarebbe in grado di dominare. Essere incompleto ed impotente modifica un ambiente che gli è completamente estraneo. Riempie mancanze, attualizza assenze. Se non l’avesse fatto sarebbe scomparso.

Possiamo ora capire più approfonditamente la definizione del concetto di "cultura" proposto in precedenza:
La cultura consiste nella totalità dei prodotti dell’uomo.
Alcuni di questi prodotti sono materiali, altri no. L’uomo produce attrezzi d’ogni genere tramite cui modifica il suo ambiente fisico e piega la natura al proprio volere. L’uomo produce anche il linguaggio e, sulla base e per mezzo di esso, un importante edificio di simboli che permeano ogni aspetto della sua vita. È in tal senso che - dal punto di vista che stiamo qui adottando - bisogna intendere ed analizzare la centralità dei processi comunicativi nell’ambito delle scienze sociali.

Per introdurre un esempio, tratto da una famosa citazione di Karl Popper, è possibile paragonare l’evoluzione del mondo della cultura, con quello del mondo animale, nel senso che, così come “l’evoluzione animale procede in larga misura attraverso l’emergenza di nuovi organi e della loro modificazione, così l’evoluzione della cultura umana procederebbe, in larga misura, attraverso lo sviluppo di nuovi organi al di fuori del corpo: eso-somaticamente o, extra-personalmente.
L’uomo, cioè, invece di sviluppare migliori occhi e migliori orecchie, produce occhiali, microscopi, telescopi, telefoni, cornette acustiche, etc... e invece di sviluppare gambe sempre più veloci, produce automobili sempre più rapide. E ancora – ed è questo un aspetto dell’evoluzione culturale che coinvolge in modo assolutamente centrale tutti i processi comunicativi di cui ci occuperemo – invece di sviluppare memorie e cervelli migliori, l’uomo produce carta, penne, macchine da scrivere, computer, libri e biblioteche.

Produce soprattutto linguaggio. Attraverso il linguaggio in effetti l’uomo detta un ordine all’esperienza. Il linguaggio “ordina” creando una differenziazione e una struttura nel flusso incessante dei fatti che l’esperienza ci propone. Un frammento dell’esperienza non appena viene nominato esce immediatamente da quel flusso e acquisisce una stabilità tipica della designazione. Ogni volta che l’uomo s’inventa e impone un linguaggio assicura un ordine di rapporti, afferma perentoriamente che questo è proprio questo e non quello.
Sul linguaggio si fonda tutto l’edificio cognitivo e normativo che noi definiamo conoscenza.

Sappiamo che ogni società impone un ordine comune d’interpretazione dell’esperienza, ordine che diventa conoscenza “oggettiva”. Fare parte di una società vuol dire condividerne la “conoscenza”.

Con il processo di oggettivazione, il mondo umanamente prodotto, la cultura, diventa qualcosa che sta al di là di noi, sta “al di fuori”. Esso consiste in “oggetti”, sia materiali che non materiali, capaci (Berger dice) di “resistere ai desideri dei loro produttori”. Il che, in poche parole vuol dire che una volta prodotto, questo mondo non può essere spazzato via da un semplice desiderio. Esso è là, nella sua incombenza, spesso nella sua opacità, sempre nella sua oggettività.

L’uomo costruisce un attrezzo e tramite tale azione arricchisce la totalità degli oggetti fisici presenti nel mondo. Una volta prodotto, però, l’attrezzo acquista una vita propria che non può facilmente venire cambiata da quanti lo usano. In realtà l’attrezzo, diciamo un utensile agricolo, può persino giungere a imporre la sua logica agli utenti, a volte in un modo che può anche non risultare loro particolarmente gradevole.
Per esempio, un aratro, per quanto ovviamente prodotto umano, è un oggetto esterno non solo nel senso che i suoi utenti, o i suoi produttori, possono anche cadervi sopra e farsi male – come potrebbero parimenti farsi male cadendo su un sasso o su un tronco o su qualsiasi altro oggetto materiale – ma anche nel senso, qui più importante, che può costringere i suoi utenti a riorganizzare l’attività agricola, e forse anche altri aspetti della loro vita, conformemente alla sua logica, né immaginata né prevista da coloro che in origine hanno inventato l’uso dell’attrezzo stesso.
Ad esempio un uso di un aratro più profondo, derivato da una tecnica più facile di aggiogamento dei buoi, modificò notevolmente l’agricoltura elevando considerevolmente la produttività agricola (consentendo l’alternanza dei terreni) e contemporaneamente il benessere generale. La medesima oggettività, comunque, caratterizza pure gli elementi non materiali della cultura. Pensate ad un’idea o ad una ideologia (cioè un insieme ideativo volto a indirizzare l’azione), a dei valori, ad una visione del mondo etc. etc.

Per ciò che concerne la comunicazione, è un dato di fatto che gli uomini inventano un linguaggio e poi scoprono che sia il loro parlare che il loro pensare vengono regolati, meglio costretti, dalla grammatica che essi stessi hanno prodotto (oggettivato). D’altronde il linguaggio è l’oggettivazione più importante che l’uomo abbia prodotto. I suoi fondamenti sono naturalmente nella capacità umana di vocalizzare, ma si può parlare di linguaggio solo se l’espressione vocale è capace di distacco. La vita in genere è tale perché io posso attraverso il linguaggio condividerla.

Fra parentesi va notato che gli esempi qui riportati riguardano (non a caso) la comunicazione. D’altronde la variazione dei modi della comunicazione è spesso più importante di quella dei modi di produzione. Cos’è poi, in effetti, la cultura se non una serie di atti di comunicazione?

Come ultima cosa diciamo che il mondo delle oggettivazioni sociali, prodotto dall’uomo nell’ambito del processo di esteriorizzazione, si pone di fronte all’uomo stesso come fattualità esterna e come tale viene dunque acquisito.

L’interiorizzazione è invece il processo mediante il quale il mondo oggettivato viene riassorbito nella coscienza dell’uomo, in modo tale che le strutture di questo mondo giungano a determinare le strutture soggettive della coscienza stessa.
La società, vale a dire, ora funziona come una sorta di agenzia formativa della coscienza individuale. Proprio in seguito all’interiorizzazione, l’individuo si appropria contemporaneamente di vari elementi del mondo oggettivato traducendoli in fenomeni interni alla sua coscienza (che cioè gli appartengono personalmente) e distinguendoli dai fenomeni della realtà esterna. In effetti ogni società che si prolunga nel tempo, o che ha la pretesa di, si trova a fronteggiare il problema della trasmissione da una generazione all’altra dei suoi significati oggettivati, della sua “conoscenza oggettivata”. Questo problema viene affrontato mediante i processi di socializzazione, vale a dire i processi tramite cui s’insegna a una nuova generazione a vivere in accordo con i programmi istituzionali della società.
O, detto in altro modo, la socializzazione è quando una generazione comunica alla generazione successiva i contenuti essenziali della cultura da essa prodotta. Questo è un tema importante in quanto ogni società (e ogni istituzione) che ha intenzione di prolungare la sua esistenza nel tempo si trova a dover affrontare il problema della trasmissione dei suoi significati (significati che essa ha prodotto e anche oggettivato). E lo fa fondamentalmente attraverso il processo della socializzazione, che vuol dire non solo far apprendere alla nuova generazione i significati della cultura, ma anche i ruoli e le identità. E questo avviene anche attraverso un processo di identificazione che permette al singolo abitante di questo universo di “modellarsi”, di costruirsi, attraverso questi significati.
Lo scopo ultimo della socializzazione è la costruzione di una simmetria (o corrispondenza) tra la cosiddetta realtà oggettiva (quella che è al di fuori di noi) e la realtà soggettiva (quella che percepiamo al nostro interno).
In poche parole la società, generalmente, pretende che i suoi significati siano uguali ai nostri significati (di qui l’importanza che la società attribuisce alla comunicazione e alla “condivisione del significato”).
Questa è una pretesa impossibile ad attuarsi (al meno nella sua forma più estrema) perché la socializzazione, per una serie di motivi, è sempre imperfetta. Va detto inoltre (dall’altro canto) che una socializzazione troppo parziale finisce per mettere in crisi la società stessa, in quanto, al limite, nessuno condividerebbe i significati (compresi quindi i valori) che la società s’è data.

Anche qui va sottolineato come emergano i problemi fondamentali della comunicazione: la trasmissione dei “messaggi” e la condivisione del significato. Nel momento in cui l’individuo interiorizza l’insieme dei significati che la società gli impone riesce a dare ordine soggettivo alla propria esperienza, dà un senso alla propria biografia. E cioè ordina gli elementi della sua passata esperienza e li integra nell’ordine societario. Il tempo acquista un senso: passato presente e futuro diventano quel continuum necessario per l’esistenza stessa dell’individuo.

In sostanza gli uomini sono costretti “antropologicamente” a costruire il senso della realtà (esteriorizzazione), a reificarlo (oggettivazione) e a riappropriarsene nel corso della socializzazione (interiorizzazione).

L’operazione di costruzione dell’ordine ha anche poi un’altra funzione: quella di difendere l’uomo dal terrore dell’esistenza. Questo terrore dell’esistenza è la perdita del significato.
La perdita di significato è il caos, che, come tale, deve essere tenuto a bada ad ogni costo. In poche parole vivere nel mondo sociale significa avere una esistenza normale e significativa, uscirne fuori, nel senso della impossibilità di condividerne i significati, costituisce una minaccia per l’individuo perché si perde l’orientamento dell’esperienza. Nei casi estremi – dice Berger – si perde il senso della realtà e dell’identità.
Quest’aspetto protettivo dell’ordine sociale è molto evidente nelle cosiddette situazioni marginali.

Queste sono quelle situazioni della vita che lo portano vicino ai confini dell’ordine che regola la sua vita quotidiana. Sono situazioni che si presentano spesso nei sogni, anche in quelli ad occhi aperti.

A volte queste fantasie si presentano come “dubbi” sulla consistenza della realtà che ci circonda, che diventa precaria, incerta. Questi dubbi possono coinvolgere gli strati profondi della coscienza (gli psichiatri li chiamano stati nevrotici o psicotici), allora costituiscono una minaccia per l’individuo che ne rimane terrorizzato. Ciò che viene messo in crisi – e che terrorizza – è l’ordine su cui tutta la sua esistenza si basava.
Queste situazioni possono essere chiamate “situazioni marginali” proprio perché stanno ai margini della realtà stabilita, la sfiorano o la coinvolgono profondamente. La situazione marginale per eccellenza è la morte. La morte infatti - come avremo modo di approfondire nel corso delle prossime lezioni - mette in crisi, insinua dei dubbi sulle precedenti definizioni della realtà. In effetti essa mina i presupposti dell’ordine stabilito. Allora ci si rende conto che ogni realtà a fianco possiede un’irrealtà che è terrorizzante.

Detto in termini diversi, quando questa realtà si presenta fa difetto la comunicazione. Berger la chiama conversazione e cioè la possibilità di rassicurazione che si ottiene attraverso la condivisione e vitalizzazione dei significati. In altri termini le situazioni marginali dell’esistenza umana mettono in luce la precarietà di quanto è stato costruito dall’uomo: vi è un’irrealtà possibile che minaccia ogni forma di realtà.
Dietro l’ordine vi è l’anomia, che vuol dire assenza di norme. D’altronde ogni ordine costruito è uno spazio di significatività “estratto” in un mucchio di non-senso. Ogni ordine costruito è un edificio contro le forze del caos. Ed è evidente che questo caos deve essere tenuto a bada. Il che vuol dire che ogni società sviluppa dei meccanismi di difesa atti a difendere la realtà costruita. Dei meccanismi cioè in grado di aiutare i suoi membri a restare orientati nella realtà e – nel caso fosse necessario – a tornare nella realtà (quella realtà così come ufficialmente è stata definita).
Uno dei meccanismi più efficaci è quello di fare accettare il mondo sociale come dato.

La socializzazione ha successo quando spinge ad accettare i significati chiave della società come inevitabili. Non basta cioè che l’individuo li consideri utili, giusti o desiderabili, è necessario che sia convinto che essi sono inevitabili, cioè immutabili.

Tutto quanto detto finora e gli argomenti che abbiamo introdotto devono essere intesi come un bagaglio concettuale, una “cassetta degli attrezzi” con i quali poter costruire una griglia di interpretazione sociologica dei fenomeni comunicativi che affronteremo nel corso delle prossime lezioni.

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Prof. lei è veramente un grande

Anonimo ha detto...

volevo ringraziarla per la sua disponibilità,e anch io penso che lei sia un grande... gli altri prof dovrebbero prendere esempio!inoltre volevo chiederle per essere considerati corsista e usufruire della prova intercorso,oltre a seguire il corso bisogna lasciare il nome con relativo num di matricola da qualche parte...domanda

Anonimo ha detto...

Grazie Mille Prof. Per tutto il tempo che ci dedica nel trascrivere le lezioni.Non è una cosa da poco.Le sue lezioni mi piacciono perchè incuriosiscono attraversando anche altre discipline.Spero di prendere il "massimo voto" all'esame,grazie a anche a qsto servizio,la cosa è ancor più concretizzabile!Ciao Prof!

Anonimo ha detto...

Il più bel regalo che il Prof. ti farà , aldilà del voto , sarà qualcosa di molto più prezioso ( e penso tu te ne stia accorgendo ): amore e passione per la conoscenza , lo studio e per i libri..Basta volerlo e ci si ritroverà completamente arricchiti ...
Grazie ancora , Professore .

Anonimo ha detto...

Prof se vuole glielo faccio io un blog come si deve XD

Anonimo ha detto...

Gentile professore,
io ho sostenuto la prova scritta dell'esame al secondo appello della sessione autunnale,il 25 settembre scorso. Ora dovrei completare con l'orale nella sessione di novembre.
Vorrei chiederle se devo prenotarmi normalmente e venire l'8 quando c'è l'appello e fare l'esame quando gli altri sostengono lo scritto, oppure sostenere l'orale insieme agli altri.
Lo chiedo perchè si dia il caso che lo stesso giorno, l'8 nov e alla stessa ora, le 9, io dovrei essere presente all'appello di un altro esame. La ringrazio.

Anonimo ha detto...

Caro prof.oggi io e la mia amica alle ore 10.40 ci trovavamo fuori l' aula astra..quando all' improvviso siamo rimaste incantate dal suo fascino trasgressivo.ci tenevamo tanto a dirle che ci siamo letteralmente "ingrippate" per lei:::un bacio .ci manca tanto il suo corso!!!!

Anonimo ha detto...

SIETE RIDICOLE!!!

Anonimo ha detto...

Ma quanti complimenti!
insomma da quando ho finito io l'università (ed è tanto, tanto, tempo fa............)deduco che il tuo corso sia diventato ancora più interessante, e tu come docente sia migiorato anncora.....bè non è una cosa facile da ottenere. Complimenti a te "straniero", che sei riuscito in questa impresa.
Ah....deduco dai post che è aumentato anche il tuo fascino....

Anonimo ha detto...

Ma basta ! Possibile che un blog così utile debba diventare un contenitore per annunci degni di una rubrica di " cuori solitari " ? Prendete coscienza di questa cosa e lasciate spazio a cose e persone serie ! Rendetevi conto !!!!

Anonimo ha detto...

Gentile prof,
sono una corsista ammessa al progetto federica.
Nell'attesa, per i lunghi tempi burocratici,ho iniziato a seguire il corso, ho acquistato i testi e soprattutto sto seguendo di pari passo gli argomenti nell'ordine e nella logica da lei trattati nel corso delle lezioni.
Volevo chiederle se mi era concessa la possibilità di sostenere la prova intercorso in qualità di studente corsista ed e-learning nell'intento di usufruire del progetto federica come supporto integrativo e non sostitutivo del corso. Infine ci terrei molto a conoscere il suo pensiero e le sue valutazioni sul progetto e-learning.
La Ringrazio.

Anonimo ha detto...

This is great info to know.